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LA LEGGE SULLO SMART WORKING

Giovedì, 07 Settembre 2017

A dimostrazione di come l’organizzazione del lavoro sia in costante mutamento, con la Legge n. 81 del 22 maggio 2017, pubblicata sulla G.U. n. 135 del 13 giugno 2017, è stato disciplinato il c.d. “lavoro agile”, altrimenti conosciuto come smart working.
L’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di incrementare la competitività relativamente a interi settori produttivi e commerciali e, nel contempo, di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro cercando di utilizzare al meglio le opportunità concesse dalla tecnologia per il c.d. “lavoro da remoto”.
Grandi imprese come, ad esempio, Enel, Ferrovie dello Stato, Telecom, Barilla, Pirelli, Unicredit, Ferrero e Bmw hanno già raggiunto accordi con le rappresentanze sindacali finalizzati all’introduzione del “lavoro agile” e la contrattazione collettiva, sotto questo profilo, ha già sperimentato in maniera positiva tale modalità in moltissime aziende.
La nuova disciplina del lavoro agile è contenuta nel secondo capo della Legge 81/2017, agli artt. 18-24.
Corre l’obbligo di evidenziare come il lavoro agile non sia una nuova tipologia contrattuale ma una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, sia pubblico che privato, attuato tramite un accordo scritto tra le parti il cui contenuto può riguardare forme organizzative per fasi, cicli ed obiettivi.
Tale disciplina, dunque, non è applicabile al lavoro autonomo, ma solo al lavoro subordinato nel cui ambito è attuabile sia per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato che a tempo determinato (entrambi anche part-time). La modalità di lavoro agile è altresì compatibile anche presso le Pubbliche Amministrazioni.
La prestazione lavorativa avviene senza precisi vincoli di orario o di luogo, i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero o settimanale sono quelli stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Il lavoro agile implica che la prestazione venga svolta all’esterno dell’azienda per una parte del giorno, della settimana o del mese e tale modalità può essere reversibile, vale a dire con il rientro a pieno orario in azienda al raggiungimento dell’obiettivo per la quale era stata scelta.
Lo smart working si differenzia dal telelavoro in quanto quest’ultimo prevede che l’attività venga svolta interamente fuori dei locali aziendali mentre il primo, valorizzando maggiormente l’elemento della flessibilità organizzativa, implica - come detto - che la prestazione lavorativa venga eseguita in parte all'esterno del locali aziendali senza una postazione fissa, anche con l’utilizzo di strumenti tecnologici offerti in dotazione dal datore di lavoro (su cui grava l’onore di assicurarne il buon funzionamento) e strettamente connessi all’esecuzione della prestazione lavorativa.
L’art. 19, L. n. 81/2017 stabilisce la forma, i contenuti dell’accordo e le modalità di recesso.
Innanzitutto, l'accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto sia ai fini della prova che, aspetto non meno importante in quanto connesso ad eventuali controlli da parte degli organi della vigilanza, ai fini della regolarità amministrativa. Inoltre in tale accordo viene disciplinata l'esecuzione della prestazione lavorativa anche in riferimento agli strumenti utilizzati dal lavoratore e - soprattutto - alle forme di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro, posto che quest’ultimo è limitato nel proprio potere di controllo quando l’attività del lavoratore è svolta fuori dai locali aziendali. A tal proposito, l’art. 21, comma 1, dispone che il potere di controllo “in remoto” del datore sulla prestazione che il lavoratore pone in essere fuori dai locali aziendali deve esplicarsi nei limiti di quanto previsto dall’art. 4, L. n. 300/70 (e successive modificazioni), in materia di controlli a distanza, nonché dalle regole contenute nel Codice della Privacy.
Il lavoratore non deve essere sempre raggiungibile: l'accordo deve precisare le misure organizzative e i tempi nei quali il lavoratore ha diritto alla disconnessione dagli strumenti tecnologici di lavoro e in quel lasso temporale non può essere contattabile via mail o per telefono. Tuttavia, è possibile individuare delle fasce di reperibilità con vincoli massimi di orario.
Debbono altresì essere individuati i tempi di riposo del lavoratore. Se per “riposo” si intende quel periodo che non rientra nell’orario di lavoro, la modalità agile che consente al prestatore di gestirsi in autonomia anche dal punto di vista dell’orario lavorativo, rischia di essere svuotata della finalità che le è propria. Inoltre, sorge spontanea la domanda su come fa il datore a constatare il rispetto dell’orario di lavoro quando la prestazione si svolge lontano dai locali aziendali.
Per quanto riguarda la durata dell’accordo, esso può essere a termine o a tempo indeterminato. Se è a termine può essere prorogato con l’accordo delle parti e non c’è alcun limite numerico alla proroga dal momento che si tratta di una modalità della prestazione (inserita in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato) e non una tipologia di contratto come quello a tempo determinato in cui, in un periodo temporale di 36 mesi, le proroghe possono essere al massimo cinque così come previsto dal D.lgs. n. 81/2015.
Ciascuna delle parti ha facoltà di recedere e il recesso ha come conseguenza il ripristino della prestazione lavorativa “in toto” all’interno dell’azienda. In caso di recesso, il preavviso non può essere inferiore a trenta giorni; se l’accordo collettivo applicato prevede un diverso termine di recesso, dovrà applicarsi quest’ultimo a condizione che non sia inferiore a quello previsto dalla norma legislativa.
Il lavoratore “agile” ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato - in attuazione dei contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, territoriale o dalle Rsa o dalle Rsu (di cui all'art. 51 del D. lgs. n.81/15) - nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni all'interno dell'azienda (art. 20).
L’accordo sottoscritto dalle parti ex art. 19 deve, altresì, prevedere quali condotte poste in essere dal lavoratore durante l’attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali possono dar luogo all’applicazione di una sanzione disciplinare, nel rispetto dell’iter contrattuale e dell’art. 7, Legge n. 300/70. Ovviamente, in questo caso non si potrà parlare di illegittimità della sanzione disciplinare eventualmente inflitta al lavoratore per mancata affissione del regolamento aziendale in locali accessibili a tutti, dal momento che è rimesso al solo accordo tra le parti l’individuazione degli specifici comportamenti illeciti.
Secondo l’ultima ricerca dell’Osservatorio “Smart working” del Politecnico di Milano, ancora prima della novella legislativa, in Italia si contavano già duecentocinquantamila dipendenti che lavoravano in modalità “smart”, vale a dire circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti.
In ogni caso questi dati saranno ora destinati a mutare anche perché tra gli obiettivi posti dal legislatore “c’è quello di aiutare soprattutto le donne, le quali, anche per mancanza di adeguati servizi di welfare pubblico, rinunciano al lavoro più che in altri paesi europei, pur di non allontanarsi fisicamente da casa e famiglia”, come dichiarato da Maurizio Del Conte, Professore di Diritto del Lavoro alla Bocconi di Milano e Presidente di Anpal.
 
Dott.ssa Vincenza D’Angelo
 

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